15 febbraio 2024 – In Italia i tumori delle vie biliari colpiscono il 20% in più al Sud rispetto al Nord. A differenza di quasi tutte le altre neoplasie gastroenteriche, nel Mezzogiorno si registrano un +18% di casi tra la popolazione maschile e un +23% in quella femminile. Per quanto siano delle malattie oncologiche rare interessano complessivamente più di 12mila persone solo nel nostro Paese. È quanto emerso durante il convegno nazionale “Colangiocarcinoma: nuove prospettive” che si svolge oggi presso il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS a Roma. L’evento è promosso dall’APIC (Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma) in occasione della Giornata Mondiale dedicata a questa neoplasia. Vede la partecipazione di rappresentanti dei clinici, dei malati e delle istituzioni.
“È una malattia ancora misconosciuta nonostante risulti in aumento nel nostro Paese – afferma Paolo Leonardi, Presidente dell’APIC. Uno dei principali problemi che riscontriamo è, infatti, l’accesso ad informazioni sicure e certificate da parte di pazienti, familiari e caregiver. Per questo promuoviamo eventi come il convegno di oggi perché una maggiore consapevolezza, da parte di tutti gli attori coinvolti, è il primo passo per contenere una patologia molto complessa”. “Il colangiocarcinoma o tumore delle vie biliari origina nei dotti in cui è trasportata la bile dal fegato all’intestino – sottolinea Giampaolo Tortora, Direttore del Comprehensive Cancer Center di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e Ordinario di Oncologia all’Università Cattolica. Le differenze d’incidenza tra il Nord e il Sud del Paese potrebbero essere in parte spiegate attraverso un fattore di rischio come l’obesità. Il grave eccesso di peso in Italia presenta tassi più alti tra la popolazione, sia adulta che pediatrica, in diverse Regioni meridionali. La neoplasia colpisce soprattutto uomini e donne d’età compresa tra i 50 e gli 80 anni. Nella maggioranza dei casi si presenta all’improvviso in assenza di fattori di rischio o di condizioni pretumorali. Perciò una diagnosi su quattro avviene in modo del tutto casuale attraverso esami o accertamenti svolti per altri motivi di salute. Siamo quindi costretti spesso ad interventi terapeutici sulla malattia in stadio avanzato. Ciò spiega come mai le percentuali di sopravvivenza a cinque anni, per gli uomini e le donne, si attestano rispettivamente solo al 17% e al 15%”. “Sono dati decisamente più bassi rispetto a quelli ottenuti in altre patologie oncologiche – prosegue Lorenza Rimassa, Professore Associato di Oncologia Medica presso Humanitas University e IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano) -. La chirurgia è uno dei trattamenti più utilizzati anche se dopo l’intervento chirurgico in circa il 60% dei casi la neoplasia tende a ripresentarsi. Inoltre, il tumore risponde poco alla radioterapia e alla chemioterapia, che offre comunque dei benefici sia per i pazienti operati sia per i pazienti con malattia non operabile o recidivata. Le novità degli ultimissimi anni sono però l’immunoterapia che, somministrata insieme alla chemioterapia, ha dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza globale e libera da malattia e il tasso di risposta obiettiva, e le terapie a bersaglio molecolare che permettono di agire selettivamente su specifici bersagli presenti sulle cellule tumorali. Per questo è oggi fondamentale che ai pazienti con colangiocarcinoma sia offerta la possibilità di una profilazione molecolare della neoplasia, in modo da individuare la presenza di alterazioni che possono essere bersagli di farmaci mirati”. “Sono dei segnali incoraggianti per noi pazienti anche se molta strada resta da percorrere – conclude il Presidente Leonardi -. C’è bisogno di un maggiore impegno per individuare nuovi strumenti diagnostico-terapeutici in grado di migliorare ulteriormente la sopravvivenza verso questo tumore gastro-enterico. In particolare, è necessario offrire a tutti i pazienti test di profilazione molecolare e infine devono essere valutati da un team multidisciplinare esperto e dedicato”.